martedì 28 giugno 2011

Parole rubate: CONFLITTO

http://ariannagalimberti.blogspot.com/


Le consegne del laboratorio sono sempre interessanti: il procedere silenzioso e misterioso della progettazione emerge e si fa immagine. Le immagini diventano commento, riflessione. Parole che costruiscono suggestioni, tornano a costruire immagini diverse da quelle di partenza. Discutere di un progetto è sempre foriero di spunti importanti. 
Il tema dell’ibridazione che il contemporaneo innesca è uno dei miei temi preferiti: mi interessa considerare cosa differenzia il mio presente dal passato. Ovviamente l’evoluzione tecnologica, specie nell’ambito dei media, lascia una fortissima traccia nella società contemporanea; ma l’altro aspetto interessante è la visione del mondo naturale. Gilles Clement nel suo “Giardiniere Planetario” mostrava come in realtà ci trovassimo in una condizione di completa urbanizzazione dell’intero globo terrestre in cui la Natura selvaggia era diventata una sorta di immagine letteraria più che una realtà: dal momento che il paesaggio vergine è sparito dal pianeta civilizzato, quello che abbiamo sotto gli occhi risulta essere una secondarizzazione dello spazio naturale (G. Clement, Il giardiniere planetario, 22publishing, Milano, 2008, pg 43). Il “verde” non è scomparso, ma è sempre più difficile individuarlo come entità assoluta. E’ molto più facile ritrovare paesaggi in cui Natura e elementi antropici si contaminino, creando appunto una nuova dimensione ibrida. 
In questa ibridazione si ritrovano elementi naturali ed elementi artificiali. Le plastiche sono un materiale totalmente prodotto dall’uomo. Un materiale dalle possibilità di utilizzo praticamente infinito. Forse il simbolo dei materiali artificiali: Maldonado si riferisce proprio ai polimeri quando tratta il fenomeno della dematerializzazione connessa allo sviluppo della realtà virtuale nella società contemporanea. L’altra forma di virtualizzazione è invece connessa con la teoria secondo la quale la superficie di gran parte degli oggetti di oggi, per il particolare tipo di materiale con cui sono stati prodotti, non esibirebbe più la struttura del materiale, bensì la celerebbe sotto una sorta di patina opaca. (Nel caso specifico, si allude presumibilmente non solo ai materiali avanzati di recente sviluppo, ma anche ai polimeri sintetici ormai vastamente diffusi dal 1930 in poi, ossia alle plastiche in genere). La superficie di questi materiali sarebbe caratterizzata da una sorta di opacità, in quanto la sua struttura costitutiva rimarebbe occulta, inaccessibile all’osservatore, la superficie dei materiali tradizionali al contrario sarebbe un esempio di trasparenza, in quanto le loro più intime, recondite articolazioni materiali risulterebbero facilmente percepibili. (T. Maldonado, Reale e virtuale, Feltrinelli, 2007, pg 81)

Il progetto di Arianna Galimberti rievoca forse questo scenario di ibridazione e vi assimila quella lezione “pop” che vive anche della leggerezza dei riferimenti propria della generazione di surfers di oggi: l’immediata accessibilità alla totalità dei dati storici sviluppata dai media schiaccia tutto ad un livello di superficie, consentendo operazioni di assemblaggio e collage tra i più disparati elementi. La plastica e la natura vivono in un unico elemento, lo costruiscono. E’ emersa una mancanza di pathos in questo scontro. L’espressione che rubo da quel giorno di riflessione è CONFLITTO: mancava l’istanza di conflitto tra i due elementi. Interessante. Ma non so se l’idea di conflitto, contrasto tra i due elementi, pathos che nasce tra il confronto manicheo di due entità opposte possa apparire oggi come chiave di interpretazione. 
Esiste questo tipo di pathos nelle sfumature? Nelle contaminazioni? O si tratta piuttosto della costruzioni di immagini in cui sì si rivelano le parti costituenti, ma queste emergono solo dopo l’acquisizione di un’immagine unica, straniante, perché non univocamente legata o al contesto naturale o a quello artificiale?
La ricerca espressiva che porta avanti questo progetto si annoda ad una serie di esperimenti architettonici dal linguaggio che imita la natura attraverso tecniche digitali e fonde l’immagine di organismo con i nuovi materiali del contemporaneo. Un ibrido. Una macchina naturale. Una natura bionica.
Una nuova specie. Forse.

Consegna PRE ESAME _ 22 giugno

Colpo d'occhio sulle tavole della consegna pre_esame

lunedì 20 giugno 2011

Ricerca espressiva parametrica

Virtuale contro reale... Meglio virtuale con reale, ovvero la "matita aumentata" dell'architetto contemporaneo.






sabato 4 giugno 2011

Orti urbani. Note tecniche

Gli orti urbani sono lotti minimi di verde ad uso privato per la coltivazione domestica. La loro presenza segna spesso il paesaggio delle periferie urbane, nelle aree interstiziali, abbandonate o sottoutilizzate. Gli orti urbani o più propriamente i Kleingarten (piccoli giardini) - come vengono denominati nell’urbanistica tedesca - sono anche un materiale “nobile” della composizione urbanistica moderna, ricorrente nei piani delle città del Nord e Centro Europa almeno da un secolo e mezzo. Sono un materiale legato alla cultura e alle pratiche abitative locali, l’interesse e l’attualità del quale derivano dalla grande duttilità e reversibilità nell’utilizzo di piccole aree isolate, ma anche dalla possibile integrazione in progetti articolati e complessi dello spazio aperto verde. 
Pochi materiali semplice costituiscono una costante nei progetto di orti urbani. 
Un piccolo lotto, che può misurare da 40 a 100 mq, è composto da:
- una superficie di terreno;
- recinzioni e partizioni interne;
- un ricovero per gli attrezzi;
- impianti di irrigazione.
Nel caso frequente di una colonia di orti si trovano anche: 
- uno spazio comune per attrezzi; 
- una piazzola ad uso collettivo;
- un accesso comune carrabile e un parcheggio.
La localizzazione e il dimensionamento della colonia costituiscono i principali problemi inerenti alla progettazione e alla gestione degli orti urbani: 
- scegliere una zona non inquinata. La possibilità di coltivare prodotti alimentari da un lato, la lunga permanenza degli utenti dall’altro, consigliano un’attenta valutazione dell’idoneità all’uso di un’area disponibile. Molte di quelle residuali, altrimenti interessanti, per la vicinanza a fonti di inquinamento atmosferico o con suoli da bonificare, potrebbero per questo risultare inadatte; 
- valutare le dimensioni in rapporto alla collocazione. Un’area di 600 mq, composta da 20 orti, è una misura consigliabile per una colonia posta entro un parco, alla quale si voglia anche affidare una funzione di presidio. Per una colonia di quartiere queste dimensioni possono raddoppiare; 
- progettare la struttura. E’ opportuno individuare alcuni elementi fissi (la rete dell’acqua, le recinzioni interne ed esterne, la dimensione media dei lotti) e costruire repertori di soluzioni per altri ( tipicamente il ricovero degli attrezzi);
- prevedere le superfetazioni. E’ utile prestabilire quelle accettabili, così da regolare o vietare le altre;
- valutare le modalità di aggregazione o gestione. E’ bene tenere presente che un gruppo di persone all’interno del quale non sussistono le condizioni per cooperare difficilmente manterrà in buone condizioni una colonia di orti. 


illustrazione da testo pg 301

da P. Gabellini, Tecniche urbanistiche, Roma, Carocci, 2001, pg 292-293.

L'esempio di Parigi.

http://www.paris.fr/loisirs/jardinage-vegetation/jardins-partages/p9111